Contrattura capsulare

Data pubblicazione: 02/10/2021
Dr. Tommaso Agostini


Indice

Cosa è la contrattura capsulare

L’intervento di mastoplastica additiva è associato, come del resto tutti gli altri interventi di chirurgia estetica, a potenziali rischi e/o complicanze che possono insorgere a breve o lungo termine; tra queste complicanze la più frequente è sicuramente la contrattura capsulare, seguita dalla rottura delle protesi mammarie e dal malposizionamento degli impianti.

La contrattura capsulare è una complicanza locale dell’intervento di mastoplastica che avviene a seguito di una eccessiva produzione di tessuto collagene di tipo fibroso, responsabile dell’indurimento della mammella e del dolore ad essa associata.
Il termine contrattura capsulare significa un indurimento progressivo della protesi mammaria
, e più precisamente della capsula periprotesica, che indurendosi, comprime la protesi, quindi da un punto di vista scientifico si parla di contrattura periprotesica, conosciuta anche nel linguaggio popolare come rigetto. La contrattura capsulare ha un’incidenza variabile dal 3% al 20% nei primi 5 anni in ambito di chirurgia estetica mammaria e fino al 30% nei primi 3 anni in caso di chirurgia ricostruttiva mammaria. Ad oggi è al secondo posto tra le cause di mastoplastica additiva secondaria e può interessare una sola mammella (contrattura capsulare monolaterale) o entrambe (contrattura capsulare bilaterale) e viene classificata in base alla sintomatologia e segni clinici di cui è responsabile.

Quali sono le cause della contrattura capsulare?

L’inserimento nel corpo umano di dispositivi protesici induce sempre una reazione infiammatoria che prende il nome di reazione da corpo estraneo, con la formazione di una capsula di tessuto fibroso, che nel caso delle protesi mammarie, prende il nome di capsula peri-protesica.
La causa alla base della contrattura capsulare non è unica, ma sono molteplici, quindi è a patogenesi multifattoriale con fattori intrinseci ed estrinseci; il fattore intrinseco determinante è rappresentato dalla predisposizione della paziente, cioè dalla capacità di guarigione che rappresenta un processo unico e non ripetibile. Infatti allo stesso insulto (un trauma chirurgico o accidentale) il corpo di due soggetti può guarire in modo molto diverso, producendo un rapido ed efficace processo di guarigione con esiti cicatriziali quasi invisibili, mentre in altri casi il processo di guarigione può essere più lungo, portare a cicatrici visibili o essere addirittura patologico e richiedere un secondo intervento per correggere la cicatrice. In particolare il sistema immunitario sembra giocare un ruolo fondamentale nell’insorgenza della contrattura capsulare, poiché sono predominanti alcuni tipi cellulari come macrofagi, linfociti e fibroblasti.

Un secondo fattore intrinseco recentemente identificato è rappresentato dalla flora microbica costituzionale, o biofilm, cioè quell’insieme di batteri che vivono normalmente con il nostro corpo e che variano da soggetto a soggetto; è accertato che il contatto della protesi con tale biofilm contribuisce in modo determinante all’insorgenza della contrattura capsulare.

Il terzo fattore intrinseco è il posizionamento della protesi a livello della ghiandola mammaria e in particolare il posizionamento sottoghiandolare ha un’incidenza più elevata di contrattura capsulare.

Anche l’accesso chirurgico prescelto dal chirurgo sembra avere un'importanza non trascurabile, essendo il solco sottomammario meno a rischio rispetto all’accesso emiperiareolare. Infine, anche l’insorgenza di ematomi e sieromi può facilitare l’insorgenza della contrattura capsulare.
I fattori estrinseci sono rappresentati dalle protesi mammarie e in particolare dalla superficie che le riveste; è infatti ormai accertato che le protesi lisce hanno una maggior probabilità di dare contrattura capsulare.

Come si manifesta la contrattura capsulare?

I sintomi e segni della contrattura capsulare sono numerosi e consistono in una asimmetria mammaria che si aggrava nel tempo, in particolare con una mammella che tende a sollevarsi rispetto all’altra, indurimento progressivo della protesi facilmente apprezzabile anche all’autopalpazione, dolorabilità spontanea e dolore che viene esacerbato dalla palpazione; radiograficamente, sia all’ecografia che alla risonanza magnetica nucleare si apprezza una diversa forma degli impianti, che possono apparire deformati e/o ridotti di dimensioni. L’insorgenza della contrattura capsulare è variabile nel tempo e senza una regola fissa che possa aiutarci a fare una previsione attendibile, variando da poche settimane fino anche a diversi anni.

Classificazione della contrattura capsulare

La contrattura capsulare viene classificata in base a alla classificazione proposta da Baker in 4 stadi, cioè in base a un sistema di classificazione soggettivo basato sui reperti clinici riscontrati dal chirurgo plastico a livello del torace della paziente.

  1. Contrattura capsulare Stadio I di Baker - assenza di contrattura capsulare con seno morbido non dolente né dolorabile e normoposizionato (assenza di contrattura)
  2. Contrattura capsulare Stadio II di Baker - lieve indurimento del seno protesizzato non dolente né dolorabile alla palpazione e frequentemente con tendenza a risalire verso l’alto, motivo per cui le pazienti, in questo stadio, non se ne lamentano, poiché giovano dell’effetto "benefico" della contrattura che ridona un décolleté armonico e prosperoso
  3. Contrattura capsulare Stadio III di Baker - una o entrambe le protesi sono visibili e palpabili con consistenza aumentata senza sintomatologia dolorosa ma i seni rimangono sempre normoposizionati anche se cominciano ad essere evidenti delle deformità
  4. Contrattura capsulare Stadio IV di Baker - le protesi vengono compresse dalla capsula in modo sostanziale, per cui oltre ad essere indurite e avere la consistenza di materiali solidi, le mammelle sono anche deformate con dislocazione superiore verso la regione clavicolare, verso l’esterno e quindi verso la linea ascellare anteriore o si possono medializzare verso la linea parasternale; in questa fase le pazienti possono lamentare anche un dolore che può essere anche acuto e poco rispondente ai comuni farmaci antidolorifici

La terapia della contrattura capsulare

La terapia della contrattura capsulare è medica e chirurgica, ma può essere anche combinata; la terapia medica consiste in specifici massaggi (squeezing) che hanno come fine ultimo quello di rompere le fibre di tessuto connetivo della capsula, ammorbidendola e quindi possono essere manovre dolorose. Il gold standard del trattamento chirurgico prevede l’intervento di capsuletomia con o senza capsulotomia. Nello stadio terzo della contrattura capsulare si procede all’intervento chirurgico che consiste nel sostituire le protesi mammarie ed eseguire delle incisioni multidirezionali a livello della capsula al fine di allargarla (capsulotomia); allo stadio finale, si deve procedere necessariamente alla rimozione dell’intera capsula (capsulectomia) che, avendo uno spessore esageratamente aumentato, comprime la protesi fino a farla deformare.

L’intervento per la correzione della contrattura capsulare prevede anche il cambio del piano di posizionamento della protesi mammaria, cercando, quando possibile, di prediligere un posizionamento sottomuscolare. Per questo motivo, se la contrattura insorge in una paziente che abbia eseguito una mastoplastica sottomuscolare con tecnica dual plane avrà una probabilità maggiore di recidiva. Il rischio di recidiva della contrattura capsulare è stimato nel 25% nel primo anno, con possibilità di numerosi interventi correttivi, fino anche all’espianto definitivo delle protesi come ultima ratio.

Ultimamente è stato dimostrato come un intervento chirurgico innovativo possa in qualche modo ridurre la probabilità di recidiva e che consiste nel posizionamento della protesi mammaria sempre in un piano sottomuscolare, ma superficialmente al foglietto anteriore della capsula mammaria in modo tale da ridurre il danno tessutale e quindi la reazione fibrotica dell’organismo, il tutto eseguito attraverso una piccola incisione nel solco sottomammario. La mastoplastica secondaria per contrattura capsulare può essere eseguita, in casi ben selezionati, utilizzando anche il lipofilling, cioè il trasferimento di tessuto adiposo, prelevato da altre parti del corpo, opportunamente purificato e centrifugato e quindi reiniettato a livello toracico con l’intento di sfruttare i fattori di crescita delle cellule staminali in esso contenute. Il fine ultimo, sia utilizzando il cambio piano della protesi, sia ricorrendo al lipofilling, sarebbe quello di creare una neo-tasca mammaria ben vascolarizzata. Recentemente sono state testate anche matrici dermiche d’origine animale (bovina o porcina) che sono utilizzate per avvolgere la protesi mammaria prima dell’inserimento della stessa nella tasca mammaria e che hanno azzerato il tasso di contrattura capsulare anche in pazienti che sono state sottoposte a mastectomia e radioterapia post operatoria.

 

La prevenzione della contrattura capsulare

Al fine di ridurre al minimo la possibilità di recidiva, cioè il ripresentarsi della contrattura capsulare, è necessario utilizzare specifiche accortezze e in particolare:

  1. utilizzare guanti chirurgici senza polvere all’interno
  2. inserire gli interventi in sale operatorie adeguate, meglio se ISO-5
  3. praticare un’accurata disinfezione del campo operatorio (meglio con betadine) al fine d’eliminare, almeno momentaneamente, il biofilm responsabile d’infezioni subcliniche che non si manifestano con i sintomi e segni classici (rossore, dolore, gonfiore, dolore e febbre)
  4. utilizzare protesi mammarie di alta qualità per limitare il fenomeno della trasudazione del silicone
  5. evitare impianti protesici a superficie liscia o microtesturizzata, privilegiando protesi mammarie di ultima generazione con superficie microtesturizzata o nanotesturizzata
  6. cambiare il piano di posizionamento delle protesi (ad esempio utilizzare un piano dual plane in caso di contrattura capsulare d’un impianto sottoghiandolare e viceversa)
  7. effettuare una coagulazione precisa e meticolosa durante l’intervento per evitare non solo gli ematomi maggiori ma anche i micro-ematomi
  8. evitare il fumo di sigaretta, che grazie alla nicotina, produce un importante effetto di vasocostrizione periferica, cioè diminuisce l’afflusso di sangue a livello mammario, rendendo la guarigione più lunga e difficoltosa
  9. Procedere al lavaggio della tasca mammaria con soluzione acquosa mista a betadine
  10. Procedere alla disinfezione della cute toracica con betadine
  11. Limitare l’inserimento di sizer mammari
  12. prescrivere farmaci anti-infiammatori specifici come lo Zafirlukast, che sebbene indicato nella profilassi e nel trattamento cronico dell'asma bronchiale, ha dimostrato efficacia nel ridurre la contrattura capsulare; il protocollo consiste nell’assunzione di due compresse al giorno per un periodo di 3 mesi a partire dal giorno successivo dell’intervento, avendo cura d’assumere il farmaco lontano dai pasti in modo da diminuire la biodisponibilità, e quindi l’efficacia, del farmaco

 

L’intervento chirurgico d’elezione per ridurre al minimo la probabilità di contrattura capsulare è il posizionamento della protesi mammaria con tecnica dual-plane utilizzando un accesso chirurgico dal solco sottomammario. In questo modo infatti la protesi rimane per la gran parte sotto al muscolo gran pettorale e non sotto la ghiandola mammaria e si evita anche il contatto con i dotti galattofori, che non sono sterili, poiché in contatto con l’ambiente esterno. Inoltre il posizionamento sotto al muscolo gran pettorale faciliterebbe il massaggio fisiologico del muscolo sulla capsula periprotesica e quindi il riallineamento delle fibre collagene parallelamente.

Cosa fare in caso di sospetto di contrattura capsulare

Nel caso in cui una paziente che si è sottoposta a mastoplastica additiva sospetti di essere affetta da una contrattura capsulare è necessario sottoporsi ad una visita specialistica di chirurgia plastica; il chirurgo estetico, in base alla valutazione clinica procederà a inquadrare il caso secondo la classificazione di Baker e procederà alla richiesta di esami strumentali aggiuntivi come ecografia mammaria o risonanza magnetica nucleare. Al fine di monitorare costantemente l’insorgenza della contrattura capsulare è quindi necessario eseguire una visita medica specialista almeno una volta all’anno.

L’intervento di correzione della contrattura capsulare

L’intervento chirurgico per la correzione della contrattura capsulare ha generalmente una durata superiore rispetto all’intervento di mastoplastica additiva, potendo arrivare a superare le 3 ore (180 minuti) con una media di circa 1 ora e mezza, due ore. L’intervento viene eseguito in anestesia generale proprio in considerazione della lunga durata della procedura chirurgica di revisione, utilizzando, spesso, le stesse cicatrici dell’intervento precedente. La complessità di tale intervento chirurgico risiede nell’unicità dell’intervento stesso, nel senso che la contrattura capsulare non solo è diversa tra paziente e paziente, ma anche tra i due lati del corpo, con le conseguenti problematiche di simmetrizzazione che si possono venire a creare nell’intraoperatorio. I fattori complicanti in sala operatoria possono essere numerosi e di difficile gestione, incluso il rimodellamento della capsula periprotesica (capsulotomia) e la rimozione della capsula stessa (capsulectomia) oltre a possibili rotture delle vecchie protesi mammarie che possono essere preesistenti o accidentali nel corso dell’intervento stesso, con conseguente spargimento di gel di silicone che rallenta in modo determinante le manovre chirurgiche.  Dopo aver eseguito quindi le manovre chirurgiche di rimodernamento della capsula peri protesica è necessario eseguire un lavaggio accurato della tasca mammaria con triplice soluzione antibiotica e cortisonico a elevato dosaggio al fine di ridurre la risposta infiammatoria cronica instaurata dall’organismo. Il cambio del piano di posizionamento del nuovo impianto mammario sarà da valutare per ogni singolo caso in base alle condizioni cliniche della paziente e alle potenziali controindicazioni; la sostituzione dell’impianto mammario rappresenta quindi un momento determinante per ottenere una risoluzione della contrattura capsulare con ragionevoli probabilità di successo, prediligendo quando possibile protesi mammarie a superficie microtesturizzata o nanotesturizzata, o ancora impianti mammari di poliuretano. Tutte le opzioni per la scelta dell’impianto mammario dovranno essere affrontate con il chirurgo plastico, il quale, si prenderà l’ultima parola in merito, in base all’esperienza personale e agli studi clinici più aggiornati in merito. Certamente sebbene le protesi ricoperte con schiuma di poliuretano abbiano un rischio di contrattura capsulare assente, il loro inserimento nella tasca mammaria richiede un accesso chirurgico più lungo al fine di favorirne l’ingresso, poiché dotate di una consistenza aumentata e quindi sono scarsamente deformabili; quest’ultimo aspetto si ripercuote anche sulla clinica, ossia sul risultato estetico finale, con mammelle che risultano più dure e quindi potenzialmente meno naturali.
L’intervento per correggere la contrattura capsulare si conclude, dopo l’inserimento della nuova protesi mammaria, nell’accurata emostasi di tutti i vasi sanguigni e quindi nel posizionamento di drenaggi che saranno rimossi nei giorni successivi, in base al decorso post operatorio, sempre su indicazione del chirurgo plastico.

I farmaci per la prevenzione e la cura della contrattura capsulare

La contrattura capsulare rappresenta la complicanza più comune e allo stato attuale non esiste un trattamento efficace; nonostante ciò rimane la certezza che alla base della sua insorgenza via sia un processo infiammatorio cronico, che per qualche motivo, intrinseco (legato cioè al paziente) o estrinseco (legato cioè alla procedura chirurgica in sé) rimane attivo producendo una reazione da corpo estraneo esuberante attorno alla superficie protesica. Il razionale d’utilizzo di alcune categorie di farmaci come gli anti-leucotrieni si basa proprio sulla fisiopatologia della contrattura capsulare; infatti i farmaci sono in grado di bloccare i leucotrieni, cioè potenti mediatori che rientrano nel processo infiammatorio, legandosi ai loro recettori, bloccando di conseguenza la loro funzione. Tali farmaci sono lo Zafirlukast e il Montelukast, conosciuti in medicina come farmaci anti-asmatici, che possono essere prescritti in modo preventivo a pazienti selezionati in base a determinati fattori di rischio, in somministrazione giornaliera per una durata di circa 90-120 giorni.
La terapia farmacologica preventiva rimane efficace per la contrattura capsulare di 2° e  3° grado, mentre nel grado più avanzato sarà necessario eseguire l’intervento chirurgico.

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