Protesi seno

Data pubblicazione: 19/02/2022
Dr. Tommaso Agostini


Indice

Che cosa sono le protesi del seno?

Le protesi del seno o protesi mammarie sono dispositivi medici che sono sotto regolamentazione secondo il D.L 24 febbraio 1997, n. 46, attuazione della Direttiva Europea 93/42/EEC. Trattandosi di biomateriale che viene inserito nel corpo umano con una permanenza a lungo termine sono classificati in terza classe, cioè vengono costantemente monitorati dall’organismo notificato che dovrà rilasciare il marchio CE secondo altissimi standard di qualità, progettazione e quindi produzione, rimanendo quindi tra i dispositivi medici più studiati e controllati al mondo. Si ricorda a tal proposito che i dispositivi medici sono classificati secondo quattro classi in base alla complessità, potenziale rischio per la salute del paziente, invasività, dipendenza da una fonte energetica, e durata del tempo di contatto con il corpo umano: classe I, classe IIA, classe IIB, Classe III in base alle regole disposte nell’allegato IX del decreto 46/1997. Ciononostante le protesi mammarie non sono garantite a vita dalla maggior parte delle ditte produttrici, le quali consigliano la sostituzione dopo 10 anni di permanenza nel corpo. La classe III viene giustificata da tante motivazioni tra cui l’invasività del dispositivo, intesa come permanenza dello stesso nell’organismo per un tempo superiore ai 30 giorni. Inoltre la certificazione del marchio CE ha una validità limitata nel tempo al fine di poter eseguire continue verifiche delle protesi, le quali non sono prodotte in Italia, né è presente in Italia l’Organismo Notificato, ma questo non ha alcuna ripercussione sul procedimento di verifica, poiché nel caso venga riscontrato anche un solo dubbio, il dispositivo viene immediatamente bloccato.


Esiste un registro nazionale delle protesi del seno in Italia?

La risposta è sì, esiste. Il registro nazionale protesico è nato nel marzo 2019 e si trova presso l’istituto Superiore di Sanità, sotto la direzione e vigilanza del Ministero della Salute e ha carattere obbligatorio e di trasparenza come stabilito nella Legge di bilancio 2019, art. 1 comma 558 (Legge 30 dicembre 2018, n. 145), con lo scopo di monitorare tutti gli impianti protesici mammari eseguiti sia in ambito privato che pubblico. Tutti i chirurghi che rilevino una qualsiasi anomalia, come ad esempio la rottura protesica o la contrattura capsulare, hanno l’obbligo di segnalazione secondo le modalità del Decreto legislativo 46/1997 e s.m.i., con refertazione della data dell’impianto, il numero di lotto, il numero seriale e il codice protesico.

Cosa c’è dentro le protesi del seno?

Le protesi del seno possono essere riempite con diverse sostanze a partire dagli idrogel (acqua e zuccheri) alla soluzione fisiologica che hanno diversi svantaggi tra cui una consistenza meno naturale rispetto al silicone, la perdita di volume nel tempo, nonché la possibile produzione di rumore dovuta al movimento del liquido. Il silicone rappresenta sicuramente il materiale di riempimento più utilizzato essendo duraturo e avendo la stessa consistenza della ghiandola mammaria e mantenendo il volume nel tempo. Ad oggi il gel di silicone contenuto nelle protesi del seno è ad alta coesività, cioè particolarmente denso, tipo gelatina di frutta, il che lo rende particolarmente sicuro in caso di rottura; infatti protesi molto vecchie anche di 20 anni fa, è vero che contenevano comunque silicone, ma non coesivo, il che in caso di rottura della superficie protesica rappresentava uno svantaggio in termini di dispersione del liquido che non solo usciva dalla protesi alterando la forma della ghiandola mammaria, ma poteva migrare anche nel parenchima mammario formando quelli che prendono il nome di siliconomi, fino anche a livello dei linfonodi ascellari omolaterali alla rottura. L’alta coesività del silicone moderno, fa sì che in caso di rottura il silicone non migri né si disperda nella ghiandola mammaria, garantendo quindi altissimi standard di qualità e sicurezza.

Come è fatta la superficie della protesi del seno?

La superficie della protesi del seno è costituita da un guscio esterno di silicone, che in base alla ruvidità può essere classificata in:

  • protesi seno a superficie liscia, che ha il vantaggio di poter eseguire un’incisione più piccola per l’inserimento a livello mammario, ma è più soggetta al rischio di contrattura capsulare
  • protesi seno a superficie micro-testurizzata, ossia una superficie minimamente ruvida
  • protesi seno a superficie macro-testurizzata, con superficie francamente ruvida
  • protesi seno a superficie in poliuretano, cioè costituita da una schiuma poliuretanica che essendo meno elastica del silicone, richiede non solo delle incisioni chirurgiche più lunghe, ma sono anche più difficili da rimuovere nel tempo

Attualmente le protesi seno macro-testurizzate sono state ritirate dal commercio, poiché gli organismi controllori non hanno rinnovato il loro marchio CE; le protesi del seno che rimangono disponibili sul mercato sono quelle dotate di superficie liscia, nano-testurizzata (quasi liscia), micro-testurizzata (lievemente ruvida).

Di che forma sono le protesi mammarie?

Ci sono numerosi tipi di protesi mammarie in commercio dotate di una forma diversa. La scelta della forma dell’impianto mammario rappresenta un passo fondamentale per il buon esito della mastoplastica additiva. In particolare distinguiamo protesi mammarie anatomiche, rotonde e protesi dinamiche o ergonomiche che non sono assolutamente intercambiabili, nel senso che la forma della protesi prescelta si deve adattare alle caratteristiche anatomiche di quella specifica del  paziente.

Le protesi mammarie rotonde sono dispositivi protesici, simmetrici su un piano sagittale, cioè l’ampiezza sul piano orizzontale è uguale all’altezza sul piano verticale e quindi la forma è simmetrica su tutti i lati; di conseguenza la resa volumetrica dell’impianto è uniforme in tutti i quadranti sia quelli superiori, quindi il décolleté sia su quelli inferiori. Le protesi mammarie rotonde vengono prodotte con diversi profili o proiezioni, che generalmente sono tre, cioè basso profilo, medio profilo, alto profilo che differiscono in modo significativo sulla resa volumetrica dell’impianto mammario al fine di avere risultati estetici sub-ottimali. Questa configurazione protesica è sicuramente la più utilizzata in chirurgia estetica mammaria.

Le protesi mammarie anatomiche sono protesi che hanno una forma che ricorda quella della mammella ("a goccia"), quindi maggiormente proiettata nei poli inferiori e dotate di un gel in silicone meno morbido e quindi più coesivo rispetto alle protesi rotonde; sono presenti in molteplici modelli che differiscono non solo per la diversa proiezione ma anche per un rapporto variabile tra diametro maggiore e diametro minore. La resa volumetrica dell’impianto anatomico è molto minore nei quadranti superiori risultando in un décolleté super naturale, forse anche troppo per pazienti candidate a sottoporsi a intervento di mastoplastica additiva. Questa conformazione di protesi mammaria è infatti utilizzata per la gran parte in chirurgia plastica ricostruttiva post-mastectomia.

Le protesi ergonomiche o dinamiche sono invece una via di mezzo tra le anatomiche e le rotonde e rappresentano la configurazione protesica di ultima concezione, sono cioè gli impianti mammari di sesta generazione. La differenza fondamentale con le protesi mammarie fino ad ora concepite risiede nel fatto di essere dinamiche, ossia le protesi dinamiche cambiano appunto la loro forma a seconda che il paziente sia prono, supino o in stazione eretta; in particolare mantengono la loro forma rotondeggiante in posizione orizzontale e assumono una forma più dolce, quasi anatomica in posizione verticale, unendo quindi in un solo dispositivo i vantaggi della protesi anatomica e di quella rotonda. Questo adattamento avviene grazie alla presenza all’interno della protesi di un gel particolarmente morbido e con brevetto registrato che non solo si adatta alla posizione del corpo ma anche alla forma della gabbia toracica e della ghiandola mammaria.

Come si scelgono le protesi per il seno?

La scelta della protesi per il seno è un momento fondamentale per l’intervento di mastoplastica additiva al fine d’ottenere un risultato subottimale. Al momento della visita medica è fondamentale prendere in considerazione numerosi parametri:

  • altezza della paziente: una protesi del seno di pari volume non avrà lo stesso rendimento in termini volumetrici su pazienti con diversa altezza
  • peso corporeo: la protesi mammaria deve essere scelta in base al peso della paziente poiché ad esempio, protesi ad alta proiezione sono sconsigliate in pazienti molto magre dal momento che potrebbero essere particolarmente visibili e palpabili
  • dimensioni del torace: la circonferenza toracica gioca un ruolo determinante per la scelta della base protesica
  • misure della mammella: la misurazione delle dimensioni mammarie include la distanza tra il giugulo e il complesso areola capezzolo, la distanza tra il complesso areola capezzolo e la linea mediana, la distanza tra il complesso areola capezzolo e il solco inframammario o sottomammario e il diametro dell’areola
  • il desiderio della paziente: quindi le richieste al chirurgo in termini non solo di volume ma anche di distanza tra le mammelle

Quanto durano le protesi del seno?

La durata delle protesi per il seno è un argomento molto dibattuto e che genera sempre numerosi dubbi nelle pazienti. Nonostante le garanzie date dalle ditte farmaceutiche siano sempre più lunghe, personalmente suggerisco di prendere in considerazione la sostituzione delle protesi mammarie dopo un periodo quantificabile in dieci anni circa. Infatti, anche se la paziente è contenta e soddisfatta del risultato, dopo un decennio, ci sono sicuramente dei segni di deterioramento delle protesi seno inserite e ci saranno dei dispostivi impiantabili con tecnologia più evoluta.

Lo screening oncologico in pazienti portatrici di protesi mammarie

Innanzitutto va premesso che la presenza delle protesi mammarie non aumenta il rischio di sviluppare il tumore mammario. Il posizionamento delle protesi in sede sottoghiandolare può rendere più efficacie l’autopalpazione d’eventuali noduli mammari che insorgono nel tempo, favorendo quindi la diagnosi precoce. Gli esami di prevenzione ecografici risultano quindi utili non solo per la diagnosi di eventuali patologie evolutive ma anche per verificare annualmente l’integrità delle protesi; la mammografia standard al contrario può avere qualche difficoltà specialmente se la componente ghiandolare è poco rappresentata ma non vi sono rischi di rottura protesica durante l’esame. Le pazienti che hanno eseguito la mastoplastica additiva si devono rivolgere in centri specializzati dove viene eseguita una mammografia specifica utilizzando la “manovra di Eklund”, cioè lo spostamento della protesi mammaria in modo da non interferire con i radiogrammi che rimangono fondamentali per l’identificazione di neoformazioni sospette comprese le microcalcificazioni. In caso di sospetto sull’integrità delle protesi o sulla natura di neoformazioni sarà necessario eseguire la risonanza magnetica nucleare e una successiva agobiopsia ecoguidata con esame istologico. Infine va sottolineato che anche il posizionamento della protesi del seno ha la sua influenza sulla buona riuscita dell’esame diagnostico, poiché se la protesi è separata dal parenchima ghiandolare dal muscolo gran pettorale, allora la lettura dell’esame sarà sicuramente facilitata. Questo si traduce nel fatto che pazienti che hanno eseguito una mastoplastica additiva sottoghiandolare potranno impiegare più tempo per eseguire l’esame e potrebbero essere richiesti esami radiologici d’approfondimento, mentre pazienti con mastoplastica additiva retromuscolare o dual plane saranno certamente agevolate.

Allattamento e protesi seno

Una delle domande più frequenti che viene posta durante le visite mediche riguarda appunto il futuro allattamento al seno dopo una gravidanza. L’argomento è molto dibattuto e ricco di numerose leggende metropolitane. Ma facciamo chiarezza su questo argomento tanto caro alle future mamme dicendo che aver eseguito l’intervento di mastoplastica additiva con protesi seno non pregiudica in alcun modo il futuro allattamento. La conoscenza dell’anatomia distrettuale della ghiandola mammaria, al cui capitolo si rimanda, rende ragione a questa affermazione; le protesi del seno infatti sono posizionate utilizzando principalmente due tipi d’incisione chirurgica, quella attraverso il solco sottomammario e quella dal complesso areola capezzolo o incisione emiperiareolare. Evidentemente in entrambi i casi, ma soprattutto utilizzando il solco inframammario non vengono lesionati i dotti galattofori i quali funzioneranno a prescindere dalla presenza delle protesi mammarie; anche nel caso dell’incisione areolale, vengono conservati la maggior parte dei dotti, senza alcuna ripercussione sulla secrezione lattea.

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Le protesi del seno si muovono?

In base al tipo di mastoplastica additiva che si esegue le protesi del seno si possono muovere e in particolare lo spostamento dipende dal loro posizionamento; nel caso in cui siano inserite sottoghiandola, allora ci sarà un lento e graduale spostamento verso il basso, secondo il normale processo d’invecchiamento e comunque proporzionale alla forza di gravità, motivo per cui si suggerisce di non esagerare con il volume delle protesi. Nella mastoplastica additiva retromuscolare e dual plane le protesi mammarie tendono a muoversi verso l’alto ed esternamente, preda dei movimenti contrattili del muscolo gran pettorale, con la conseguenza che in base a come il muscolo si contrae e tira la protesi, questa si potrebbe spostare verso l’alto (evento che ha un riscontro positivo per cui la paziente non si lamenta) oppure verso l’esterno (fenomeno chiamato animazione), con l’aumento della distanza tra le mammelle (cosa di cui invece la paziente si lamenta). Tali spostamenti non si verificano in qualche giorno ma in mesi o anni e sono impossibili da prevedere, sebbene il chirurgo possa adottare alcuni accorgimenti tecnici per limitare il problema. Un primo accorgimento, abbastanza indaginoso è quello di andare a cercare il peduncolo vascolare del muscolo gran pettorale dove, assieme alla arteria e vena toracoacromiale, decorre anche il nervo toracoacromiale, che può essere isolato e quindi sezionato al fine di eliminare l’attività contrattile. Un secondo accorgimento è quello di eseguire la miotomia mediana, cioè un taglio sagittale del muscolo gran pettorale a partire dal suo margine inferiore fino ad arrivare a livello del complesso areola capezzolo. Oltre a queste soluzioni definitive, vi è la possibilità di diminuire l’attività contrattile in modo temporaneo (circa 4-5 mesi) utilizzando il botox, che viene iniettato a livello del muscolo.

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