Mastoplastica additiva

Data pubblicazione: 19/02/2022
Dr. Tommaso Agostini


Indice

In cosa consiste la mastoplastica additiva?

La mastoplastica additiva è un intervento di chirurgia estetica che consiste nell’aumento volumetrico delle mammelle inserendo una coppia di protesi, quindi, di concetto, si tratta di un intervento relativamente semplice, sebbene spesso il chirurgo trascuri le numerose sfumature sulla tecnica, decorso e soprattutto del potenziale risultato, rendendo difficoltosa la corretta e cosciente valutazione delle conseguenze a cui porta l’inserimento di materiale protesico.

La mastoplastica additiva rappresenta uno degli interventi più eseguiti non solo nel mondo ma anche in Italia, con circa 51.000 protesi inserite ogni anno, di cui oltre il 60% per finalità estetiche e poco più del 30% per finalità ricostruttive, con una stima di circa 35.000 donne che ogni anno eseguono l’intervento chirurgico.

La mastoplastica additiva viene eseguita principalmente per risolvere le seguenti problematiche:

  • Mancato/scarso sviluppo della ghiandola mammaria, condizione nota come assenza (amastia) o scarso (ipoplasia) sviluppo mammario; in questo caso vengono utilizzate protesi di dimensioni uguali.
  • Svuotamento ghiandolare a seguito di gravidanze o variazioni ponderali (peso corporeo); in questo caso potrebbe essere necessario risollevare il complesso areola capezzolo e quindi eseguire un lifting mammario o mastopessi.
  • Differenza di volume tra le due mammelle, o asimmetria mammaria, in questo caso sarà necessario inserire protesi di diverso volume per ottenere la simmetria.

Lo sviluppo della mammella

Il seno è sempre stato segno di femminilità e prosperità segnando il passaggio dall’infanzia alla pubertà; seducente, armonioso, intrigante, sexy e consolatorio, il seno è simbolo di fascino e sensualità e si capisce quindi il motivo per cui la mastoplastica additiva sia sicuramente l’intervento più eseguito non solo in Italia ma anche nel mondo.

Lo sviluppo della ghiandola mammaria inizia durante l’età puberale a partire dagli 11-12 anni d’età per continuare durante il periodo dell’adolescenza e da un punto di vista psicologico ha lo scopo di aiutare ad affrontare meglio il trauma del menarca. Lo sviluppo completo si ha intorno a 18-20 anni d’età dopo il quale la ghiandola subisce numerosi cambiamenti dovuti principalmente a fattori costituzionali come la perdita o l’aumento di peso, la gravidanza, gli sbalzi ormonali tipici del ciclo mestruale, l’allattamento al seno e infine l’invecchiamento.

Quando il seno non si sviluppa a pieno si parla di ipoplasia mammaria, una condizione patologica che può arrecare non poco disagio da un punto di vista estetico e psicologico, poiché la donna si sente privata di una delle sue parti più femminili e appariscenti, sentendosi meno bella e sensuale e limitando nei casi più gravi anche la vita sessuale. L’ipoplasia mammaria rappresenta appunto la principale indicazione all’intervento di mastoplastica additiva, con il quale è possibile aumentare il volume della ghiandola mammaria, modificarne la forma e la distanza.

È possibile quindi rivolgersi al chirurgo plastico, richiedendo la taglia e la forma desiderate, il quale dopo aver esaminato lo stato locale, la qualità della pelle, lo spessore della ghiandola mammaria e del sottocutaneo, potrà suggerire il tipo di protesi migliore e la tecnica chirurgica più indicata. Dopo la mastoplastica additiva le mammelle appariranno più voluminose, proporzionate e toniche senza traccia visibile dell’inserimento delle protesi mammarie, le quali non saranno percepibili al tatto, donando una consistenza del tutto naturale.

Certamente la mammella che è oggi, non sarà la stessa tra 10 anni. La struttura di supporto include il parenchima mammario, il tessuto adiposo, la pelle e le strutture legamentose; evidentemente è fondamentale che il chirurgo plastico conosca perfettamente non solo tutta l’anatomia della ghiandola mammaria ma anche delle strutture anatomiche circostanti come il muscolo gran pettorale, il muscolo piccolo pettorale e il muscolo serrato anteriore al fine di ottenere il perfetto posizionamento dell’impianto mammario nella mastoplastica additiva.

La ghiandola mammaria è a tutti gli effetti considerata un organo ed è costituita per il 20% da acini deputati alla produzione del latte che confluisce poi nei dotti galattofori e quindi a livello del complesso areola capezzolo, e per l’80% da tessuto adiposo misto a tessuto connettivale, rivestita esternamente da pelle. La disposizione dei due tessuti cambia nel tempo: il tessuto ghiandolare è maggiormente rappresentato nelle pazienti più giovani ed è concentrato nei quadranti supero esterno e supero interno contribuendo in modo determinante ad un décolleté florido e prosperoso; con il passare del tempo in età premenopausale e menopausale il tessuto ghiandolare viene sostituito da tessuto adiposo e il volume mammario si modifica in modo rilevante in termini volumetrici in risposta anche a piccole oscillazioni di peso corporeo, con incremento dei quadranti inferiori mammari a discapito di quelli superiori, con svuotamento del décolleté. Da queste considerazioni anatomiche possiamo quindi trarre delle considerazioni generiche relative all’intervento di mastoplastica additiva e in particolare:

  • Se il tessuto ghiandolare e sottocutaneo sono ben rappresentati, si potrà optare per l’intervento di mastoplastica additiva sottoghiandolare o mastoplastica additiva sottofasciale.
  • Se il tessuto ghiandolare e sottocutaneo sono invece scarsi, sarà indicato eseguire la mastoplastica additiva retromuscolare o con tecnica dual plane.

Quali sono le vie d’accesso per inserire le protesi mammarie?

Le vie d’accesso per inserire le protesi nella mastoplastica additiva sono quattro e ognuna ha vantaggi e svantaggi ben precisi:

  • mastoplastica additiva mediante accesso solco sottomammario: conosciuto anche come solco inframammario, l’incisione in questa sede è lunga 4-5 cm calcolata in base alla costituzione della paziente ma anche alle dimensioni delle protesi da inserire. L’incisione è ben posizionata in questa sede che è molto nascosta, impedendone la diretta visibilità in stazione eretta e nella relazione di coppia; la lunghezza della cicatrice non può né deve essere molto ridotta di dimensioni poiché rappresenta il tramite per l’inserimento dell’impianto, che, nel caso in cui l’incisione sia troppo corta, potrebbe essere rovinato durante l’inserimento, compromettendo evidentemente l’intervento chirurgico di mastoplastica additiva. Personalmente preferisco questa incisione perché mi consente di condurre l’intervento di aumento del seno con sufficiente visibilità, in modo preciso e rapido; inoltre sono solito non posizionare la cicatrice esattamente nel solco sottomammario al fine d’evitare la sua visibilità durante i mesi estivi e le vacanze, quando, sollevando le braccia verso l’alto, lo scivolamento degli indumenti per la posizione assunta o durante sport estivi (penso ad esempio al bikini) potrebbe rendere visibile la cicatrici ad occhi esperti e/o attenti. Sono solito, infatti, posizionare la cicatrice subito al di sopra del solco, ad una distanza variabile da 0.5 cm a 1 cm al fine d’evitare questa possibilità. Un ultimo vantaggio non trascurabile rimane, nella mia opinione di chirurgo plastico, la conservazione di tutto il tessuto ghiandolare, che non viene tagliato o manipolato per nessun motivo, con conseguente diminuzione del rischio di infezione post operatoria e contrattura capsulare a lungo termine.
    L’incisione nel solco sottomammario può essere eseguita in tutte le pazienti, senza controindicazione alcuna.
  • mastoplastica additiva con incisione emiperiareolare: questa incisione viene eseguita "violando" il complesso areola capezzolo ed è localizzata esattamente nel quadrante infero-laterale. Questa non può essere eseguita in tutte le pazienti, ma solo in coloro che hanno un diametro areolare superiore a 3 cm, dimensioni tali da consentire non solo una dissezione chirurgica agevole e con un buon campo operatorio, ma anche un corretto inserimento della protesi mammaria. Mantengo quest’incisione al secondo posto nella scala di preferenza poiché la cicatrice residua rimane in qualche modo visibile nella stazione eretta, durante il topless e nella vita intima, specialmente in pazienti con scarsa tendenza a produrre processi di cicatrizzazione ottimali. Altra problematica è rappresentata dalla lunghezza della cicatrice, che essendo quantificabile in 2-3 cm, quindi la metà rispetto all’incisione nel solco sottomammario, presuppone uno stiramento dei tessuti maggiore per favorire sia la corretta visibilità del campo operatorio sia l’inserimento delle protesi. Il prolungato trazionamento dei tessuti legato magari alla ridotta elasticità della pelle di qualche paziente, potrebbe portare ad una anomala introflessione della cicatrice con stiramento verso il basso e verso l’esterno del capezzolo.
  •  mastoplastica additiva con incisione ascellare: questa incisione viene eseguita a livello del pilastro ascellare anteriore e non può essere eseguita in tutte le pazienti ma solamente in coloro che hanno una distanza ottimale tra ascella e complesso areola-capezzolo. L’idea di nascondere la cicatrice in una sede tanto distante dalla ghiandola mammaria affascina sia il chirurgo che il paziente, ma si scontra di fatto con la realtà, cioè una lunga curva d’apprendimento del chirurgo, la necessità di strumentazione chirurgica speciale e di costosi apparecchi dotati di fibra ottica e, non ultimo, la difficoltà ad allestire correttamente la tasca mammaria nei quadranti inferiori della mammella, con il rischio di posizionare le protesi troppo alte rispetto alla ghiandola. Anche il piano di posizionamento della protesi viene in qualche modo a risentirne, risultando relativamente facile la dissezione nel piano sottoghiandolare, ma molto complessa quella nel piano sottomuscolare o in dual-plane.
  • mastoplastica additiva con incisione ombelicale: quest’incisione non è diffusa in Europa dove si utilizzano protesi mammarie in gel di silicone coesivo, ma trova il suo campo d’applicazione soprattutto negli Stati Uniti, dove sono molto diffuse le protesi mammarie piene di soluzione fisiologica. L’incisione ha forma semilunare e viene eseguita a livello del bordo superiore dell’ombelico da dove viene inserita la protesi mammaria vuota fino a livello della ghiandola mammaria e quindi riempita con soluzione fisiologica attraverso una valvola. Sarebbe infatti impossibile inserire una protesi in silicone coesivo da questa via. Questa via d’accesso può essere eseguita potenzialmente in tutti i pazienti a prescindere dalle misure corporee.

Posizionamento sottoghiandolare versus dual-plane e retromuscolare

L’inserimento delle protesi per aumentare il volume mammario può essere effettuato con tre modalità, ognuna con vantaggi e svantaggi.

Mastoplastica additiva sottoghiandolare

L’intervento di mastoplastica additiva sottoghiandolare può essere eseguito praticando sia l’incisione emiperiareolare che nel solco sottomammario e consiste nell’allestimento della tasca al di sotto della ghiandola mammaria ma sopra il muscolo gran pettorale. L’inserimento su tale piano è indicato in pazienti con un buon spessore cutaneo, maggiore di 2 cm, valutato tecnicamente con un plicometro posizionato a livello dei quadranti superiori sia mediale che laterale. Il risultato a lungo termine è di media durata e non è da escludere un possibile ritocco a distanza di qualche anno per aumentare lo spessore tessutale del décolleté inserendo grasso autologo attraverso il lipofilling, oppure sostituendo le protesi mammarie e allestendo un lembo di tasca mammaria. La mastoplastica additiva sottoghiandolare rimane un intervento relativamente rapido potendo essere eseguito da mani esperte e capaci in circa 30 minuti ed è caratterizzato dall’assenza di dolore o da una dolorabilità minima. Nella mia esperienza il posizionamento sottoghiandolare non viene utilizzato frequentemente poiché la gran parte delle pazienti che richiedono un aumento volumetrico del seno, non hanno un parenchima mammario sufficientemente adeguato.

Mastoplastica additiva sottomuscolare

Il posizionamento retromuscolare o retropettorale consiste nell’inserimento dell’impianto al di sotto del muscolo gran pettorale attraverso il solco sottomammario e meno frequentemente l’incisione emiperiareolare, questo perché la visibilità è maggiore dal solco inframammario. Il chirurgo plastico procede quindi ad allestire la tasca tra il muscolo e la parete toracica, aumentando la copertura della protesi grazie anche allo spessore muscolare in modo da renderla meno visibile. Il posizionamento retropettorale è quindi, evidentemente, indicato in pazienti molto magre o atletiche, che non beneficerebbero dalla mastoplastica additiva sottoghiandolare che in tali casi porterebbe ad un aumentato rischio di visibilità (rippling/wrinkling) e palpabilità. Per consentire l’inserimento dell’impianto mammario il chirurgo procederà a sezionare le inserzioni costali nella porzione inferolaterale del muscolo; a tal proposito deve essere chiarito che non è praticamente possibile procedere ad una ricostruzione delle inserzioni costali del muscolo. La procedura di mastoplastica additiva sottomuscolare prevede l’utilizzo di protesi di piccole o medie dimensioni poiché con questa tecnica lo spazio virtuale della tasca è ovviamente ridotto a causa della contrazione muscolare. Se il principale vantaggio risiede nella miglior copertura dell’impianto, dall’altro il principale svantaggio è rappresentato dal movimento delle protesi a seguito della contrazione del muscolo gran pettorale, fenomeno che è conosciuto, tecnicamente, come animazione protesica.

Inoltre si possono verificare anche altri due fenomeni, di cui il primo è la risalita della protesi, che "catturata" dal muscolo tende a spostarsi verso l’alto, "sdoppiandosi" in qualche modo dalla ghiandola mammaria e producendo un doppio profilo detto a gobba di cammello o deformità di Snoopy che richiede un secondo intervento chirurgico per essere corretta. Il secondo fenomeno, anch’esso poco gradevole da un punto di vista estetico, è rappresentato dal progressivo aumento della distanza tra le mammelle, cosa di cui la paziente ha anche la percezione; il distanziamento progressivo dipende sempre dall’attività del muscolo gran pettorale che tende a "respingere" la protesi verso il punto d’ingresso, cioè in direzione infero-laterale. Anche questo secondo fenomeno richiede un secondo intervento per essere corretto.

Mastoplastica additiva Dual Plane

Il termine deriva dall’inglese e significa letteralmente doppio piano, proprio ad indicare che la protesi viene posizionata contemporaneamente sotto un doppio piano, sia sottomuscolare (nella parte superiore mediale) che sottoghiandolare (nella parte inferiore e laterale). L’intervento di mastoplastica additiva dual plane può essere eseguito senza difficoltà, da chirurghi esperti, sia attraverso il solco sottomammario sia utilizzando il complesso areola-capezzolo; in questo caso, a differenza del posizionamento sottomuscolare completo, le inserzioni del muscolo gran pettorale vengono interrotte lungo tutto il margine inferiore ma anche nella sua porzione infero mediale. I vantaggi di questa tecnica di mastoplastica additiva sono numerosi e consistono in una miglior copertura protesica a livello dei quadranti superiori e mediali, (prediligendo l’aspetto estetico del décolleté), un minor rischio di risalita delle protesi verso l’alto, un minor rischio di aumento della distanza tra le mammelle, un minor rischio di rippling/wrinkling e un fenomeno d’animazione molto meno marcato.

La mastoplastica additiva con tecnica dual plane è stata descritta per la prima volta da un noto chirurgo americano e viene classificata in tre tipi in base alla risalita del complesso areola capezzolo; la mastoplastica dual plane tipo, prevede l’allestimento della tasca in sede sottomuscolare e sottoghiandolare fino a livello del margine inferiore dell’areola (mastoplastica additiva dual plane tipo I), fino a livello del capezzolo (mastoplastica additiva dual plane tipo II) e fino al margine superiore dell’areola (mastoplastica additiva dual plane tipo III).

La mastoplastica additiva con tecnica dual plane tipo I, è indicata in pazienti giovani, anche atletiche, con assenza di ptosi mammaria; la mastoplastica additiva dual plane tipo II e tipo III trovano indicazione in casi in cui ci sia un qualche grado di ptosi mammaria poiché con tale tecnica è possibile ottenere un effetto lifting fino a 3 cm di sollevamento del complesso areola capezzolo, senza fare cicatrici aggiuntive. I risultati della mastoplastica additiva con tecnica dual plane sono molto naturali, duraturi e con molti meno rischi rispetto a tutte le altre tecniche, oltre a conferire un aspetto del tutto naturale evitando l’effetto "scalino", molto innaturale anche agli occhi meno esperti.

La visita medica per la mastoplastica additiva

Durante la visita colloquio con il chirurgo plastico verrà innanzi tutto verificata l’indicazione a eseguire l’intervento chirurgico di mastoplastica additiva, che verrà spiegato in dettaglio a partire dagli esami richiesti, alla tecnica utilizzata, al tipo di protesi, al volume mammario desiderato, alla valutazione delle aspettative che devono essere realistiche fino alle possibili complicanze. Saranno prese misurazioni specifiche con il tipico metro da sarta, al fine di valutare il posizionamento toracico della ghiandola mammaria e il grado di ptosi in relazione al complesso areola capezzolo. Infine saranno fatte visionare e toccare con mano, le protesi mammarie di prova, sempre disponibili in studio, al fine di valutarne la morbidezza e la consistenza.

Simulazione dell’intervento di mastoplastica additiva

La simulazione dell’intervento di mastoplastica additiva può essere eseguita con software dedicati che mostrano il potenziale risultato dell’aumento del seno in modo bidimensionale, tridimensionale e, ultimamente, anche quadridimensionale. Personalmente, almeno per questo intervento, ho deciso d’escludere la simulazione virtuale, privilegiando la "prova dal vivo", grazie alla presenza nello studio di particolari kit messi a disposizione dalle ditte produttrici di protesi che contengono numerosi sizer esterni, con diverse tipologie di reggiseno e canotte attillate. La prova viene eseguita esclusivamente su appuntamento e solo dopo aver concordato tempi e modalità dell’intervento; ha una durata di circa 30-40 minuti e se necessario la paziente può andare a casa propria indossando i sizer e riportandoli il giorno successivo, in modo da prendere maggiore confidenza con la misura identificata assieme al chirurgo.

Comportamenti da seguire prima della mastoplastica additiva

La sospensione del fumo di sigaretta rappresenta il primo passo per eseguire l’intervento di mastoplastica additiva in modo sicuro e senza possibili complicanze aggiuntive e dovrebbe iniziare almeno 15 giorni prima per continuare fino a guarigione avvenuta. Si devono sospendere farmaci anticoagulanti e antiaggreganti almeno 15 giorni prima e quindi iniziare la terapia con eparine a basso peso molecolare quando indicato dal medico specialista che ha in cura la paziente. Devono essere sospesi anche farmaci anti-infiammatori non steroidei i quali potrebbero contribuire a rendere il sangue più fluido, aumentando di conseguenza il rischio di sanguinamento e/o ematomi; rimane consentita l’assunzione del solo paracetamolo quando necessario.

Il giorno prima dell’intervento di mastoplastica additiva è vietato assumere cibi solidi e liquidi a partire dalla mezzanotte e si deve eseguire un’accurata igiene personale utilizzando detergenti a base di clorexidina e avendo cura di rimuovere eventuali piercing sia a livello mammario che nel resto del corpo. Avvisare tempestivamente l’equipe medica riguardo l’insorgenza di tosse, febbricola, raffreddore, sindromi parainfluenzali al fine di poter riprogrammare l’intervento chirurgico in condizioni fisiche ottimali.

Infine è opportuno indossare indumenti comodi come tuta e scarpe da ginnastica, meglio se dotate d’apertura anteriore al fine di limitare i movimenti degli arti superiori. È obbligatorio recarsi in clinica con un accompagnatore che possa guidare la macchina fino al domicilio e che si prenda cura della paziente almeno i primi 4-5 giorni. I dispositivi di contenzione sono forniti, solitamente, insieme alle protesi mammarie, ma è opportuno acquistare un secondo reggiseno al fine di prevedere un cambio pulito, sempre a disposizione.

Mastoplastica additiva in anestesia locale o generale

L’intervento chirurgico di mastoplastica additiva può essere eseguito in anestesia locale oppure generale in base agli accordi preventivamente presi con il chirurgo e alle preferenze della paziente. La procedura chirurgica può essere eseguita indifferentemente con entrambi i tipi d’anestesia, ma è necessario accordarsi preventivamente in modo da predisporre l’equipe chirurgica adeguata; infatti, colui che in questo caso ha un ruolo determinante, è la figura del medico chirurgo specializzato in anestesia, il quale, parimenti alle "superspecializzazioni" dei chirurghi plastici, si può specializzare nell’eseguire interventi di chirurgia plastica in anestesia generale particolarmente "leggera", con una rapida ripresa, quindi senza vomito o nausea, oppure in anestesia locale.

Quanto dura l’ intervento di mastoplastica additiva

L’intervento di mastoplastica additiva ha una durata variabile da un minimo di 40 minuti fino anche a 90 minuti. La variabilità temporale è giustificata dal fatto che la paziente possa avere un torace più o meno ampio, che le mammelle abbiano una base larga, la scelta della tecnica dual plane tipo III, il sanguinamento intraoperatorio, la forza contrattile del muscolo gran pettorale, la via d’accesso eseguita (solco sottomammario vs emiperiareolare vs ascellare) e il posizionamento della protesi (sottoghiandolare vs retromuscolare vs dual plane). Gli interventi di mastoplastica additiva secondaria (ad esempio sostituzione protesi) hanno una tempistica leggermente superiore, poiché sono necessarie manovre chirurgiche a livello della capsula, come la capsulotomia (incisioni radiali e/o sagittali della capsula) o la capsulectomia (rimozione dell’intera capsula).

Mastoplastica additiva con o senza drenaggi

Il ruolo dei drenaggi nella mastoplastica additiva rimane ancora dibattuto e non vi è comportamento univoco tra i chirurghi plastici, che rimangono divisi sul loro utilizzo ma anche sul tempo di permanenza. I sostenitori dei drenaggi affermano che inserendoli preventivamente si sentono più sicuri per evitare accumuli di sangue (ematomi) o di siero (sieromi), e che la loro rimozione deve essere guidata dalla quantità di liquido drenato calcolato nelle 24 ore; per questo motivo la variabilità sulla loro permanenza è ampia da un minimo di un solo giorno fino anche a oltre 15 giorni. I chirurghi plastici che non utilizzano i drenaggi sono invece sostenitori della loro inutilità se l’intervento è stato eseguito in modo meticoloso e preciso e che il loro inserimento non sarebbe comunque in grado di prevenire sanguinamenti che si sarebbero comunque verificati, oltre al fatto, indiscutibile, che i drenaggi rappresenterebbero un potenziale rischio infettivo, rappresentando un mezzo di comunicazione tra il corpo e l’ambiente esterno.

Personalmente appartengo a questa seconda linea di pensiero, nel senso che non utilizzo mai drenaggi a meno che non abbia giustificati motivi (malattie della coagulazione) o dubbi intraoperatori (sanguinamenti anomali), che mi inducano a inserirli.

La medicazione nella mastoplastica additiva

L’intervento di mastoplastica additiva si conclude con la medicazione finale che consiste nella sutura intradermica con fili riassorbibili, coperta da piccoli cerotti sterili chiamati steri-strip. Le mammelle saranno quindi fasciate con un cerotto elastico utilizzando la tecnica criss-cross, che consente un posizionamento rapido e sicuro delle protesi, che rimangono nella loro sede. La medicazione, a meno di dubbi particolari, viene rimossa dopo 10-12 giorni, momento in cui la paziente potrà indossare il reggiseno apposito con la fascia di contenzione e quindi fare la doccia.

La ripresa dopo la mastoplastica additiva

La ripresa dopo l’intervento di mastoplastica additiva è variabile in base a diversi fattori. Il principale determinante del potenziale dolore dopo l’intervento è rappresentato dal posizionamento dell’impianto protesico, cioè una mastoplastica additiva con tecnica sottoghiandolare è caratterizzata dall’assenza di dolore o quasi, mentre la mastoplastica additiva retromuscolare o dual plane ha un dolore di moderata entità, rispondente ai comuni farmaci antidolorifici come brufen o oki, e comunque della durata limitata ai primi 2-3 giorni.
Altre variabili sono rappresentate dalla soglia personale di percezione dolorifica, da eventuali gravidanze (di solito chi ha già partorito ha meno dolore) e non ultimo dai tempi d’esecuzione dell’intervento, confermando che un intervento che dura 40-50 minuti, sarà caratterizzato da meno dolore post operatorio rispetto allo stesso intervento di 2-3 ore.

Infine l’anestesista gioca un ruolo determinante nelle prime 24-48 ore, potendo gestire con sapienza tutti i farmaci antidolorifici a disposizione. Il decorso post operatorio della mastoplastica additiva deve essere caratterizzato da assoluto riposo per le prime 72 ore (tre giorni) avendo cura di non sollevare pesi con le braccia; il sollevamento da letto deve avvenire facendo leva con i muscoli addominali, magari rotolandosi su un fianco, mettendosi poi in piedi. La doccia non può essere fatta per i primi 10-12 giorni e i movimenti degli arti superiori devono essere ripresi in modo molto graduale evitando movimenti improvvisi e repentini. Dopo le prime due settimane è possibile riprendere l’attività fisica non agonistica che deve essere caratterizzata dalla movimentazione degli arti inferiori per poi iniziare gradualmente con gli arti superiori, sempre indossando il reggiseno apposito con o senza fascia su indicazione del medico.

Il risultato definitivo dopo la mastoplastica additiva

Dopo la medicazione e la rimozione delle fasciature criss-cross allestite in sala operatoria, la paziente avvertirà subito un grande sollievo; le mammelle saranno un po' tese e con consistenza aumentata del tessuto ghiandolare, in modo similare al ciclo mestruale. Nel caso in cui sia stata eseguita la mastoplastica additiva con tecnica dual plane, i quadranti superiori potrebbero essere abbastanza sporgenti per i primi venti-trena giorni a causa della risalita verso l’alto del muscolo gran pettorale dopo la sua disinserzione.
Il risultato della mastoplastica additiva viene considerato definitivo, inteso che non è possibile che le protesi perdano il loro volume dopo l’intervento chirurgico; tuttavia non è possibile escludere con certezza che non ci siano delle complicazioni legate all’impianto, come la contrattura capsulare o la rottura protesica descritte in paragrafi specifici, che potrebbero richiedere una revisione chirurgica. Infine va considerato che la permanenza media degli impianti mammari è da quantificarsi in 10-15 anni, passati i quali è raccomandata la visita dal proprio chirurgo di fiducia al fine di valutarne l’integrità.

I controlli periodici dopo la mastoplastica additiva

I controlli dopo l’intervento di mastoplastica additiva sono ben codificati e devono essere rispettati nei limiti del possibile. Dopo l’intervento chirurgico, il primo controllo viene eseguito a quindici giorni, poi il successivo controllo ad 1 mese dall’intervento, quindi 3-6-12 mesi. Successivamente è utile passare una visita medica almeno una volta ogni 2 anni al di sotto dei 30 anni, quindi 1 volta all’anno sopra i 40 anni, per poi attenersi alle linee guida dello screening mammario della propria regione di residenza. L’autopalpazione deve essere sempre eseguita 1 volta al mese e in caso di dubbio o necessità si raccomanda di contattare il proprio chirurgo anche fuori dai controlli standardizzati. I controlli devono consistere in visite specialistiche di senologia, coadiuvate da esame mammografico e/o ecografico, fino anche alla risonanza magnetica nucleare con o senza agobiopsia ecoguidata.

Quanto costa la mastoplastica additiva

Il preventivo della mastoplastica additiva comprende l’onorario dell’equipe medica, l’affitto della sala operatoria, il personale di sala e la retta di degenza in casa di cura privata. Il costo è variabile in base al regime di ricovero (day-hospital o day-surgery), alla tipologia delle protesi (anatomica, rotonda o ergonomica), alla durata prevista, al tipo d’anestesia (generale o locale) e infine in base alla correzione di eventuali inestetismi presenti come la ptosi mammaria o anomalie del complesso areola capezzolo (areola con diametro troppo grande o capezzolo introflesso). I controlli e le medicazioni sono compresi nel preventivo dell’intervento chirurgico.

Per dettaglio costi, consultare la pagina Prezzo Mastoplastica Additiva.

Complicanze della mastoplastica additiva

Le complicanze dell’intervento di mastoplastica additiva sono generiche e specifiche. Le complicanze generiche sono rappresentate da infezioni, sanguinamenti, deiscenze della ferita chirurgica, ematomi (accumuli di sangue), sieromi (accumuli di siero) e cicatrici ipertrofiche; le complicanze specifiche sono rappresentate dalla rotazione delle protesi nel caso d’impianti anatomici, ribaltamento (flipping) delle protesi, rottura protesica, contrattura capsulare, dislocazione degli impianti, risalita degli impianti, mal posizionamento protesico.

Cosa fare in caso di rottura della protesi mammaria

La rottura della protesi mammaria rappresenta un momento stressante per la paziente, parimenti al giorno dell’inserimento delle protesi. La rottura protesica deve essere inquadrata in ambito specialistico e quindi è necessario valutare le soluzioni assieme alla paziente. La rottura protesica può essere sintomatica o asintomatica a seconda che ci sia una sintomatologia infiammatoria associata, spesso consistente in dolore lieve, dolorabilità spontanea, asimmetria mammaria.
Le rotture della protesi sono classificate in base alla capsula tissutale che avvolge la protesi stessa e che comincia a formarsi nelle settimane successive all’intervento di mastoplastica additiva:

  • rottura intracapsulare: la capsula tissutale è integra e il gel di silicone non è stravasato nel parenchima mammario
  • rottura extracapsulare: la capsula periprotesica è lacerata in uno o più punti e il silicone ha invaso il tessuto ghiandolare

Le due tipologie di rottura sono identificate da segni radiografici tipici (patognomonici):

  • all’ecografia l’aspetto a "tempesta di neve" è tipico della rottura extracapsulare
  • alla risonanza magnetica nucleare il segno a "spaghetto" è tipico della rottura intracapsulare

Gli esami radiografici più utili per diagnosticare una rottura protesica sono la mammografia, l’ecografia mammaria e la risonanza magnetica nucleare che viene spesso richiesta come esame d’approfondimento.
Studi recenti hanno dimostrato che l’incidenza di rottura protesica a 6 anni è dell’1% per salire all’8% dopo 11 anni e quindi aumentare progressivamente nel tempo.
In caso di rottura della protesi è necessario rivolgersi al proprio chirurgo al fine di valutare la sostituzione dell’impianto; la casa produttrice generalmente si impegna a garantire la sostituzione gratuita delle sole protesi mammarie, mentre gli altri costi (casa di cura ed equipe operatoria) sono a carico della paziente.

Contrattura capsulare (rigetto)

Una delle principali paure delle pazienti che si sottopongono all’intervento chirurgico di mastoplastica additiva è quello di andare incontro al "rigetto" delle protesi mammarie; il termine è comunque relativamente corretto ed è necessario comunque fare delle precisazioni in merito. Il rigetto, in medicina e chirurgia, si riferisce alla chirurgia dei trapianti, e consiste in una complessa risposta immunitaria a seguito del trapianto d’organi o tessuti, che rendono impossibile la buona riuscita del trapianto stesso. In sostanza il rigetto, sebbene avvenga tra due tessuti che non sono compatibili, si può avere anche nella chirurgia protesica e in particolare può avvenire in chirurgia maxillo facciale nel caso di rigetto d’impianti dentari, in chirurgia ortopedica per le protesi di ginocchio o d’anca e infine in chirurgia plastica nel rigetto delle protesi mammarie. Il rigetto in questi casi non avviene poiché il materiale utilizzato non sia biocompatibile ma perché si verificano determinate condizioni cliniche che non rendono possibile l’impianto protesico. Mi spiego meglio. I biomateriali utilizzati in chirurgia protesica sono tutti altamente biocompatibili (titanio e silicone) ma può accadere che il corpo del paziente non accetti l’impianto, non per incompatibilità biologica, per altri fenomeni o condizioni che interferiscono con l’intervento chirurgico. Per esempio un processo infettivo acuto può interferire durante i primi giorni post operatori dopo l’intervento di mastoplastica additiva, portando al rigetto delle protesi mammarie; oppure lo stesso processo infettivo può portare al rigetto dell’impianto dentario o di una protesi ortopedica. Evidentemente in assenza del processo infettivo suddetto, l’intervento sarebbe andato a buon fine poiché trattasi di materiali con assoluta biocompatibilità.
I principali fattori di rischio per il rigetto sono rappresentati da processi infettivi acuti (portano al rigetto acuto), processi infettivi cronici (portano al rigetto cronico), sede ricevente non ottimale (ad esempio per scarsa vascolarizzazione, tessuti danneggiati, radioterapia ecc). Nel caso della mastoplastica additiva possiamo distinguere due tipi di rigetto:

  • rigetto acuto per processi infettivi acuti o eccessiva tensione della ferita chirurgica
  • rigetto cronico (contrattura capsulare) per processi infiammatori cronici.

Ad oggi la percentuale di contrattura capsulare è stimata tra l’1% e il 5% e la sua variabilità è dipendente da numerosi fattori dipendenti dal tipo di protesi inserita, dalla superficie protesica e da fattori predisponenti della paziente.

Complicanze specifiche legate alle protesi mammarie

Ho già affrontato in paragrafi specifici alcune delle complicanze della mastoplastica additiva legate all’impianto protesico, come la rottura delle protesi e la contrattura capsulare. Altre complicanze specifiche legate alle protesi mammarie sono:

  • Rotazione: evidentemente questa complicanza della mastoplastica additiva riguarda tutti gli impianti mammari ma con delle differenze fondamentali; tutti gli impianti mammari tendono a ruotare, cioè a girare su se stessi rispetto all’asse maggiore, ma se la rotazione non produce alcun effetto negativo nel caso di protesi mammarie rotonde, nel caso di protesi anatomiche ci sarà una deformazione del profilo mammario, con spostamento della parte più declive, a goccia, verso l’esterno (ascella), verso l’interno (sternale) o verso l’alto a seconda che l’angolo di rotazione sia 180° o 360°. La rotazione protesica può essere corretta con manovre manuali, del tutto simili a quelle che vengono eseguite in ambito ostetrico per capovolgere il neonato in posizione podalica, ma nel caso in cui tale tentativo non sia efficace sarà necessario eseguire l’intervento chirurgico. Ad oggi le case farmaceutiche hanno dotato gli impianti protesici di alcuni accorgimenti al fine d’evitare la rotazione, tra cui una superficie protesica testurizzata per aumentare l’aderenza con il tessuto mammario e delle particolari "alette" laterali per fissare la protesi al tessuto connettivo della parete toracica in modo da conferire stabilità. La rotazione dell’impianto protesico può essere monolaterale o bilaterale, interessare cioè una o entrambe le mammelle ed è un evento non doloroso, ma appannaggio di protesi mammarie di piccolo/moderato volume inserite in ghiandole mammarie di moderato volume.
  • Ribaltamento (flipping): in questo caso la movimentazione protesica avviene secondo l’asse minore della protesi, cioè secondo il diametro responsabile della proiezione; in questo caso il ribaltamento si traduce nel fatto che la superficie protesica meno estesa che dovrebbe essere a contatto con il parenchima mammario si viene a trovare a contatto con la parete toracica, mentre la base d’impianto toracica si capovolge per andare a contatto con la mammella. Anche il capovolgimento protesico può essere risolto con tentativi non cruenti, cioè con massaggi specifici e in caso di fallimento si dovrà procedere ad un nuovo intervento chirurgico. Il ribaltamento è un evento non doloroso, che può essere monolaterale o bilaterale, che, non provocando gravi deformazioni esterne, passa spesso inosservato. Il flipping è appannaggio di protesi rotonde di grande volume inserite in sede sottoghiandolare.
  • Rippling o wrinkling: si tratta di termini anglosassoni che sono comunemente utilizzati anche nel linguaggio corrente e che stanno ad indicare la visibilità delle protesi mammarie e in particolare delle pieghe della superficie protesica che diventano evidenti anche sulla pelle delle pazienti. Questo fenomeno accade per diversi fattori tra cui rapidi dimagrimenti che diminuiscono lo spessore del tessuto sottocutaneo e ghiandolare che precedentemente rivestivano la protesi, l’utilizzo di protesi mammarie ad alta proiezione che provocano una distensione eccessiva della cute e il posizionamento sottoghiandolare che è dotato di un minor rivestimento dell’impianto rispetto ad altri. Il rippling può essere monolaterale o bilaterale e può interessare tutta la superficie ghiandolare con ripercussioni anche nella vita sociale, essendo le pieghe protesiche visibili anche dal décolleté. La risoluzione di questa problematica estetica è chirurgica e prevede di "ristoffare" i tessuti mammari utilizzando il proprio grasso che viene prelevato da altre regioni del corpo (lipofilling) oppure sottoponendosi ad un ulteriore intervento correttivo che consiste generalmente nella sostituzione delle protesi mammarie e nel posizionamento della protesi in dual plane.

Il reggiseno dopo la mastoplastica additiva

Dopo l’intervento di mastoplastica additiva si raccomanda d’indossare un reggiseno specifico ed una fascia elastica contenitiva. Il reggiseno post-mastoplastica additiva è un reggiseno progettato ad hoc per svolgere importanti funzioni tra cui diminuire l’edema post chirurgico grazie al suo effetto compressivo, stabilizzare la tasca mammaria che accoglie la protesi, evitando che l’impianto si possa dislocare compromettendo il risultato dell’intervento con asimmetrie anche evidenti e facilitare il riassorbimento dei piccoli ematomi non visibili.

Il reggiseno da indossare dopo la mastoplastica additiva ha delle caratteristiche particolari a cominciare dal materiale con cui è prodotto che consiste principalmente in fibre di cotone miste a materiale sintetico con funzione elastica e traspirante per conferire il massimo comfort; può essere indossato facilmente limitando i movimenti di sollevamento e rotazione degli arti superiori e la chiusura può essere comodamente effettuata usufruendo di piccoli gancetti posti anteriormente; inoltre le spalline sono regolabili, non vi sono cuciture esterne che possono lasciare segni evidenti sulla pelle e le coppe sono preformate. Il dispositivo deve essere indossato per almeno tre settimane e comunque fino a quando raccomandato dal chirurgo, assieme alla fascia elastica stabilizzante; questa viene anche incorporata nel reggiseno stesso in base alle case produttrici e non deve essere stretta intorno al torace, cosa che potrebbe comportare difficoltosi atti respiratori, ma deve essere posizionata in modo da mantenere le protesi mammarie leggermente compresse verso il basso, al fine d’evitare una loro risalita per contrazione dei muscoli gran pettorali. Il reggiseno elastico senza ferrettini, quello sportivo, per intendersi, deve essere indossato per i primi tre mesi durante l’attività fisica.

Fibroadenomi e mastoplastica additiva

Le pazienti che richiedono d’eseguire la mastoplastica additiva devono sottoporsi ad un esame ecografico che attesti l’integrità del tessuto mammario e la presenza di patologie a carattere evolutivo. È proprio durante l’esecuzione dell’ecografia che la paziente può venir a conoscenza della presenza di fibroadenomi. Il fibroadenoma è un tumore benigno del tessuto ghiandolare tipico dell’età fertile delle donne, che, circondato da una capsula di tessuto connettivo, tende ad indurirsi; è monolaterale ma può essere anche bilaterale, spesso senza sintomatologia dolorosa ma che può insorgere in coincidenza del ciclo mestruale. Nel caso in cui la paziente che si sottopone all’intervento di mastoplastica additiva abbia dei fibroadenomi, andrà concordato preventivamente il comportamento da tenere; generalmente fibroadenomi con diametro inferiore a 3 cm e asintomatici, possono essere lasciati in sede, a meno che la paziente non ne faccia richiesta specifica. Contrariamente se il fibroadenoma ha un diametro superiore a 3 cm oppure ci sono dei sospetti ecografici (segni di vascolarizzazione e margini irregolari), si potrà procedere alla loro rimozione. Evidentemente la rimozione del fibroadenoma durante l’intervento di mastoplastica additiva è particolarmente vantaggiosa poiché si eseguono in contemporanea due interventi. Alternativamente sarà necessario continuare con il monitoraggio periodico per via ecografica al fine di tenere sotto controllo eventuali evoluzioni.

Mastopatia fibrocistica e mastoplastica additiva

La mastopatia fibrocistica è una condizione patologica di natura benigna che viene diagnosticata per via ecografica prima d’eseguire l’intervento chirurgico di mastoplastica additiva. Si tratta di una proliferazione di tessuto ghiandolare caratterizzato da aree fibrose, cisti a contenuto liquido e lesioni nodulari che si presenta a carico di entrambe le mammelle. Questa condizione non preclude l’intervento di mastoplastica additiva, sebbene la sintomatologia si possa sommare a quella del post operatorio provocando ipersensibilità, dolorabilità (mastodinia) e senso di tensione che si acutizzano in vicinanza del ciclo mestruale.

Mastoplastica additiva e tumore mammario, aumenta il rischio?

Questo argomento rappresenta uno dei tanti miti sulla mastoplastica additiva che deve essere sfatato. In particolare va detto che ad oggi (2022) la paziente che si sottopone all’intervento di mastoplastica additiva non ha un aumentato rischio di tumore mammario né ha una sopravvivenza minore nel caso in cui lo sviluppi per motivi costituzionali, genetici o famigliari. Quindi timori e ansie non sono giustificati e rimane sempre la raccomandazione di eseguire i controlli di screening routinari; a tal proposito va ricordato che da alcuni studi pubblicati su riviste internazionali risulterebbe che nelle pazienti portatrici di protesi mammarie le lesioni nodulari sono facilmente palpabili, mentre non ci sarebbe alcuna differenza in termini di diagnosi precoce legata agli esami radiografici.

Mastoplastica additiva e alterazioni del complesso areola capezzolo

L’intervento chirurgico di mastoplastica additiva spesso non prevede nessuna procedura chirurgica a livello del complesso areola capezzolo anche se ci possono essere dei cambiamenti a carico d’entrambe le strutture anatomiche. Le dimensioni dell’areola sono generalmente comprese tra 1 cm e 10 cm specie nella fase post menopausale quando aumenta il volume mammario per i cambiamenti ormonali; mediamente il diametro areolare aumenta proporzionalmente al volume mammario con una media di circa 38 mm e un colore che può essere brunastro (prevalenza di eumelanina) o più tendente al chiaro (feomelanina) anche in base al fototipo della paziente.

Dopo l’intervento di mastoplastica additiva il diametro dell’areola tende ad aumentare di dimensioni ma la sua colorazione rimane inalterata e di questo evento è giusto avvisare la paziente che ne risente comunque in modo positivo, poiché è raro trovare mammelle piccole con areole particolarmente grandi (evento che si verifica nel caso della mammella tuberosa). Nel caso in cui la paziente abbia invece un diametro ai limiti superiori, si renderà necessario eseguire l’accesso emiperiareolare, attraverso il quale, prolungando l’incisione, è possibile ridurre le dimensioni dell’areola.

Anche il capezzolo può migliorare dopo la mastoplastica additiva e mi riferisco a tutti quei casi in cui sia introflesso, cioè la paziente soffra di quella condizione chiamata inversotelia; l’introflessione del complesso areola capezzolo, oltre a poter inibire il fisiologico allattamento, può creare non pochi disagi anche nella vita di relazione. Dopo la mastoplastica additiva, capezzoli introflessi di I e II grado vengono corretti spontaneamente grazie alla pressione che la protesi esercita verso l’esterno, con una notevole soddisfazione da parte della paziente.

Mastoplastica additiva senza protesi mammarie

Una delle domande più frequenti che viene posta dalle pazienti è se ci sono alternative alla mastoplastica additiva con protesi mammarie per aumentare il volume del seno. La risposta è sì, ma con dei limiti. L’intervento che consente d’ottenere questo risultato è il lipofilling.

Si può eseguire in regime di day-hospital e anestesia locale con sedazione con un rapido ritorno alla vita quotidiana e prevede il prelievo di tessuto adiposo misto a cellule staminali mesenchimali attraverso piccole incisioni di 2 mm a livello delle aree corporee dove il grasso è in eccesso, tipicamente addome, fianchi, trocanteri e interno ginocchia. Il tessuto adiposo aspirato viene quindi raccolto in un contenitore sterile, purificato e centrifugato al fine d’ottenere un vero e proprio biofiller che sarà reiniettato in sede mammaria utilizzando piccoli fori di 1 mm, nascosti a livello dell’ascella e dell’areola mammaria. L’aumento volumetrico sarà determinato dal quantitativo di grasso aspirato che può essere quantificato empiricamente da un chirurgo plastico esperto; dato che per convenzione una taglia corrisponde a un volume di 150 cc, l’iniezione di un pari quantitativo di grasso non può dare un aumento di una taglia poiché parte del tessuto innestato si riassorbe (in letteratura medica il riassorbimento del grasso innestato può arrivare fino al 40%). Ma facciamo un esempio pratico: ammettiamo di avere una paziente che richiede un aumento volumetrico di due taglie cioè di circa 300 cc di tessuto adiposo, quindi un totale di 600 cc (le mammelle sono due); calcolando preventivamente il riassorbimento del tessuto innestato, il chirurgo dovrà prelevare almeno 1000 cc di grasso da altre parti del corpo, quindi un volume non di poco conto.

Un ulteriore vantaggio dell’intervento consiste nel miglioramento della qualità della pelle in termini di elasticità e lucentezza, effetto dovuto principalmente alle cellule staminali mesenchimali prelevate assieme al grasso.

L’intervento ha numerosi vantaggi tra cui l’utilizzo di tessuto proprio, assenza di cicatrici visibili, contemporaneo miglioramento di diverse zone del corpo (la sede donatrice e quella ricevente), risultato potenzialmente definitivo, assenza di dolore, rapida ripresa delle attività quotidiane, sociali e lavorative. Gli svantaggi sono rappresentati principalmente dalla disponibilità di grasso utilizzabile, dalla sua qualità e dal potenziale riassorbimento del tessuto trapiantato a seguito di dimagrimenti repentini.

L’intervento è principalmente indicato in pazienti over 50 per valorizzare il décolleté riempiendo i quadranti superiori, nelle quali potrebbe essere sconsigliato l’inserimento di protesi mammarie oppure come complemento alla mastoplastica additiva per stoffare ulteriormente i tessuti che coprono la protesi e ancora nell’intervento di sostituzione protesi per contrattura capsulare.

La mastoplastica senza protesi è un intervento di chirurgia estetica che ha una durata variabile da 90 a 120 minuti, senza medicazioni a livello mammario e con la guaina elastica a livello delle zone donatrici.

La mia mastoplastica additiva

È doveroso e utile descrivere brevemente come eseguo la mastoplastica additiva, con quali obiettivi e risultati. Generalmente, a meno di richieste particolari, non utilizzo protesi anatomiche, prediligendo le protesi rotonde più moderne, dotate di un gel super morbido oppure le protesi ergonomiche o dinamiche, entrambe difficilmente palpabili e per risultati del tutto naturali. Preferisco utilizzare l’accesso dal solco sottomammario, che almeno nelle mie mani, permette di eseguire l’intervento con relativa rapidità (40-50 minuti) e con buona visibilità. Non inserisco i drenaggi mammari nella quasi totalità delle mastoplastiche, a meno di dubbi intraoperatori su possibili sanguinamenti. I punti di sutura sono riassorbibili evitando di conseguenza il disagio della loro rimozione. Le taglie che più frequentemente mi vengono richieste sono una terza piena o una quarta ed eseguo l’aumento volumetrico in modo tale da non scegliere protesi molto proiettate che potrebbero aumentare la distanza tra le mammelle, prediligendo protesi a base larga per valorizzare il décolleté e avvicinare il più possibile le mammelle tra loro. Preferisco inserire gli impianti mammari con tecnica dual plane, che, a mio parere, dà risultati molto naturali e duraturi nel tempo, senza interferenza con lo screening mammario né con l’allattamento. Infine la tecnica dual plane permette d’evitare quello scalino a livello dei quadranti superiori che dà spesso l’idea del seno rifatto.

La scelta del tuo chirurgo per la tua mastoplastica

La scelta del chirurgo plastico a cui affidarsi rappresentata uno step determinante al fine di vivere l’esperienza della mastoplastica additiva in modo sereno e senza ansie.
Il colloquio con il chirurgo è fondamentale al fine di capire come verrà eseguito l’intervento e come potrebbe essere il potenziale risultato in termini volumetrici e di distanza tra le mammelle.

Si raccomanda sempre di verificare le credenziali del chirurgo presso l’ordine di medici della provincia di residenza, oppure consultando il sito web della Federazione Nazionale Ordine dei Medici, relativamente all’anno di laurea e d’abilitazione all’esercizio della professione di medico chirurgo. Verificare che il medico sia specializzato in chirurgia plastica secondo le normative ministeriali e che appartenga ad almeno una delle due società italiane, cioè l’Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica (AICPE) e la Società Italiana di Chirurgia Plastica, Ricostruttiva ed Estetica; un ulteriore garanzia è rappresentata dalla affiliazione del chirurgo alle due più prestigiose società al mondo di chirurgia plastica come l’International Society of Aesthetic Plastic Surgery (ISAPS) e l’American Society of Plastic Surgeons (ASPS).

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